Madian Orizzonti Onlus - Bilancio Sociale 2017-2018
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Quando i fascisti lo convocano, quel
giorno, Gino Bartali ha paura.
Ma non può non andare, sanno dove abita, ha
un bimbo piccolo.
Non che non lo abbiano mai controllato,
dopo lo scoppio della guerra: durante
gli allenamenti tra Firenze e Assisi
era facilissimo che lo fermassero. Ma
ogni volta che vedevano la sua faccia e
riconoscevano il campione già vincitore del
Giro d'Italia e del Tour de France e della
Milano Sanremo e di tante altre gare, tutto
filava liscio.
Quel giorno è diverso, perché lo hanno
convocato a Villa Triste, come è
soprannominato il palazzo dove è alloggiata
la Banda Carità che lo cerca.
La banda, che prende il nome dal comandante
Mario Carità, è una delle più crudeli
formazioni fasciste, specializzata in
rastrellamenti, torture e infiltrazioni
dentro i gruppi partigiani per arrestarne e
ucciderne i componenti.
Villa Triste è famosa per le grida che
provengono dalle vittime che i fascisti
torturano.
A volte, dalle sue stanze, arriva la musica
di un pianoforte, suonato per coprire le
urla dei poveretti.
Appena arriva, Bartali viene condotto
nelle cantine, dove capisce che è tutto
vero quanto ha sentito dire: vede esposte
armi, bastoni e vari strumenti di tortura
che sembrano medioevali e con cui si fanno
parlare le persone, quando le botte non
bastano.
Anche Gino, un uomo durissimo e capace
di soffrire ogni tormento sui pedali, è
spaventato.
"Erano tempi in cui la vita non costava
niente. Era appesa a un filo, al caso, agli
umori degli altri", dirà.
E la sua vita, quel giorno, è appesa agli
umori del terribile Mario Carità.
Il gerarca ha intercettato delle lettere,
indirizzate a Bartali, che vengono dal
Vaticano e lo ringraziano per il suo aiuto.
Le lettere sono lì, sul tavolo.
“Di che aiuto si tratta, Bartali? Cosa ha
fatto per meritarsi i ringraziamenti del
Vaticano? Ha portato armi?"
“Io nemmeno so sparare!".
"E allora ha portato altre cose! Lo
confessi".
"Ho solo mandato caffè, farina e zucchero e
altro cibo ai bisognosi".
"E lei mi vuole far credere che il Vaticano
scriverebbe a un campione come lei per
ringraziarla di aver mandato caffè, farina
e zucchero?".
“Questa è la verità" insiste Bartali.
Carità lo fissa con i suoi occhi da
rettile.
"Vediamo se in cella si schiarisce le
idee".
Gino finisce incarcerato per due giorni,
nelle stanze di Villa Triste.
Al terzo giorno lo riportano in cantina, ma
Carità non è solo, si è portato tre altri
militari. L'aguzzino fascista gli rifà la
stessa domanda.
"Cosa ha fatto per il Vaticano, Bartali?
Portava armi? O altro?".
Gino insiste: "Caffè, farina e zucchero".
Carità perde la pazienza, urla, ma uno dei
tre ufficiali con lui è un militare che ha
avuto Gino al suo servizio, ai tempi della
leva.
“Conosco Bartali, è sempre stato uno
sincero, uno che dice la verità. Se i
ringraziamenti erano per farina e zucchero,
allora è vero. Non perdiamo tempo con lui”.
Carità, riluttante, si convince a liberare
il ciclista, anche perché gli americani si
avvicinano a Firenze e c’è bisogno di lui e
dei suoi uomini per combatterli.
Gino esce tutto intero da Villa Triste,
incredulo di essersi salvato per le parole
di quel militare che pensava di conoscerlo
così bene.
Ma sbagliava, perché Gino ha mentito.
Non sono caffè, farina e zucchero, i motivi
per cui il Vaticano lo ringrazia.
Per tutto il tempo in cui ha corso lungo
la Firenze – Assisi, nel telaio della
bicicletta cui si accede staccando il