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Newsletter giugno 2015

UNO SPUNTO DI RIFLESSIONE


Editoriale – Padre Antonio Menegon

Nella nostra città sta per concludersi l’ostensione straordinaria della Sindone, il lenzuolo
funebre che ha ospitato il corpo di un condannato alla crocifissione, un corpo che porta i segni della passione sofferta da Gesù di Nazareth.

Questa icona ci porta a riflettere sull’uomo dei dolori descritto dal profeta Isaia e sui tanti, troppi uomini che continuano a soffrire e a morire.

Forse oggi la sofferenza, la disperazione, la vita dell’altro ci lascia indifferenti, bombardati come siamo da tante notizie che non riescono più a scuotere le nostre coscienze stanche, paurose, pavide e sempre più spesso sulla difensiva.

L’uomo non è più un uomo ma una cosa, un numero, un problema, un fastidio, una seccatura. Siamo affannati, sempre di corsa, stressati, abbiamo i “nostri problemi” per cui non c’è più tempo; non c’è più tempo per noi, per gli altri, per fermarci a pensare.

Occorrerebbe ritornare a pensare, guardare il volto di un disperato, di un senza terra, di un uomo senza futuro e considerarlo un uomo. Semplicemente questo.

I suoi problemi, i suoi drammi, la sua vita viene dopo, perché se non siamo capaci di vedere in un uomo un uomo, tanto meno siamo disposti a farci carico della sua fatica e della sua vita.

Tanti pellegrini sono venuti a Torino e altri ne verranno per fermarsi a contemplare la Sindone: non facciamolo solo davanti a questo lenzuolo ma ancor di più davanti a noi stessi, alle nostre vite e a quelle degli ormai troppi disperati della terra, disperati perché migranti, vittime di guerre, terrorismo, povertà, malattie, discriminazioni e questa “via crucis” potrebbe continuare all’infinito.

Non è un problema morale né etico ma esistenziale, se non ritroviamo la strada che ci riporta a casa, alla radicale conoscenza di noi stessi, alla capacità di vivere la verità, tutto diventerà banale e allora anche per noi non ci sarà futuro.

Desidero terminare queste poche righe con un bel messaggio che ha scritto il Priore di Bose Enzo Bianchi ai rifugiati che giungono in mezzo a noi; può diventare una preghiera che ci aiuta a ritrovare la nostra umanità:

“La prima parola che vorrei rivolgervi è “Benvenuti!”. Purtroppo però so che, mentre tanti uomini e donne di questo paese si sono prodigati e si impegnano quotidianamente per accogliervi e riconoscere la vostra dignità, tanti altri non vi fanno sentire “benvenuti” in questa terra, disprezzando le vostre speranze e infangando i valori fondanti della nostra società.

Allora la prima parola che vi dico è: “Perdonateci!”. Perdonateci per non aver saputo impedire le tragedie che vi hanno spinto fin qui. Perdonate la nostra indifferenza verso quanti nutrivano il vostro stesso sogno e non ce l’hanno fatta a raggiungere il nostro paese. Perdonate la nostra durezza di cuore, la nostra incapacità di riconoscere e onorare l’essere umano che è in ciascuno di voi, la nostra mancanza di memoria che cancella quel passato in cui molti nostri progenitori si sono trovati nelle vostre condizioni.

E infine, e soprattutto, “grazie!”. Grazie perché vi siete fatti prossimo a noi, feriti e prigionieri del nostro egoismo, e ci state curando, infondendoci il coraggio della misericordia. Grazie per non averci lasciati soli nella nostra autosufficienza, per averci dato la possibilità di diventare a nostra volta “prossimo”, non di chi è come noi ma di chi, in virtù della sua differenza e della sua sofferenza, risveglia il bene che giace addormentato in noi.

Che questa terra, che questo paese possa diventare il vostro e nostro paese, un paese migliore perché ci accogliamo a vicenda.

Coraggio, insieme possiamo farcela!”

Zingari, giudei, buonisti e cattivisti – Moni Ovadia

moniovadia(da “il manifesto” del 30 maggio 2015)

Il tema politico sociale incandescente degli ultimi giorni ha preso avvio da un tragico fatto di cronaca. A Roma, un’auto sulla quale viaggiavano, stando a quanto riferito dalla stampa, tre persone della comunità rom, non ha rispettato l’alt della polizia ed è fuggita a velocità folle travolgendo e uccidendo un donna filippina e ferendo, anche gravemente, altre otto persone che si trovavano sul suo cammino.

Come era prevedibile si è scatenata la usuale canea razzista contro i rom in quanto tali guidata dal leader della Lega Nord, Matteo Salvini e da tutta la galassia nera dei nazifascisti. Il tutto condito dall’inevitabile folklore mediatico. Ieri mattina, il giornalista di Libero Piero Giacalone, nel corso della trasmissione di attualità politica de La 7, con puntuale chiarezza, ha inquadrato la questione nei termini della legalità affermando un valore imprescindibile delle civiltà democratiche, ovvero che tutti i cittadini e gli esseri umani in generale, davanti alla legge, sono uguali. Giacalone ha proseguito il suo ragionamento con sapidità ironica prendendo a bersaglio due categorie di persone contrapposte: «buonisti» e «cattivisti» i quali, a suo parere, si limitano a recitare le loro
parti in commedia. Ora, appartenendo io alla categoria dei primi, proverò a rintuzzare, almeno in parte, la pur legittima stigmatizzazione ironica di Giacalone. Se è pur vero che fra i buonisti si incontrano talora persone superficiali inclini a generici “embrassons nous”, coloro che vengono spesso definiti con sprezzo «buonisti» sono in linea di principio esseri umani che si pongono il problema dell’altro, delle minoranze e si ritengono responsabili del «volto altrui», per dirla con il filosofo Levinas, o mettono in pratica il dettato evangelico: «Ciò che fai allo straniero lo fai a me». Del resto, la questione dell’accoglienza dell’altro è la madre di tutte le questioni, quella la cui mancata soluzione è causa di ogni violenza e di tutte le infamie che devastano la convivenza delle comunità umane.

Nel mio caso, appartengo ad una ulteriore fattispecie, sono un ex «altro» entrato nel salotto dei privilegiati. Io sono ebreo e so che significa essere gravato da pregiudizi, calunniato, perseguitato, deriso, massacrato e sterminato.

Oggi, molti cattivisti vi diranno che l’ebreo non è come il rom. Oggi ve lo dicono, ma in passato i «perfidi giudei» erano trattati allo stesso modo, con una sola differenza che i rom non ricevevano l’accusa di essere deicidi, in quanto cristiani o mussulmani. Credete che l’antisemitismo abbia perso aggressività a causa dell’orrore provocato dalla Shoà? Non è così, anche rom e sinti hanno subito lo stesso destino. La vera ragione è che oggi esiste uno stato ebraico ( la definizione è di Teodor Herzel, suo Ideologo, das Juden Staat) con un esercito, un governo e servizi segreti che sanno essere molto «cattivisti».

Per rom e sinti non c’è nessuno Stato che parli e agisca, nessuno li difende da posizioni di forza e gli attacchi razzisti contro di loro sono solo azioni di vigliacchi. È razzista chiunque attribuisca reati di individui all’intera comunità. Ma io, che appartengo simultaneamente anche ad un altra categoria, i settantenni, ho buona memoria. E che c’entra con l’argomento in discussione? C’entra! Ricordo quando sui muri della prospera «Padania», della sua capitale «morale» c’erano le infami scritte razziste «via i meridionali dalle nostre città!», «non si affitta ai terroni!». Mi ricordo dell’eco di Marcinelle quando i nostri italiani più poveri, trattati come bestie in quanto italiani, venivano venduti come schiavi da miniera perché tutta l’Italia avesse carbone. Mi ricordo delle scritte «vietato agli italiani e ai cani» nel civile Nord Europa.

Allora gli zingari eravamo noi. Salvini se lo ricorda?

Ma cosa volete che si ricordi un populista demagogo alla ricerca di voti? A lui, a quelli come lui, i voti non servono per fare politica, ma per fare un mestiere, quello del nazionalista da piccola patria, come i Karadzic, gli Arkan, i Mladic e i loro omologhi croati, gli sterminatori della ex Jugoslavia.

Un mestiere molto redditizio che si nutre di odio, approfitta della paura dei più fragili, garantisce posti nei parlamenti e gratificante visibilità mediatica.

C’è un solo nome per chi approfitta di un fatto efferato — commesso questa volta da rom, ma decine e decine di altre volte da italiani, padani compresi — per seminare odio: sciacallo.

Emergenza Terremoto in NEPAL – Marco Iazzolino (Camillian Task Force)

(da “Avvenire” del 29 maggio 2015)

Bambini di famiglie povere o separate dal sisma a rischio di tratta e di sfruttamento nel 016post-terremoto. Una possibilità confermata dall’individuazione la scorsa settimana, di 64 minori accompagnati da estranei in due dei distretti più colpiti, Dolakha e Dading. Fermati alcuni adulti di nazionalità nepalese e indiana, i giovani sono ora in strutture protette. Si teme che i trafficanti che muovono già ogni anno migliaia di minori verso l’India per destinarli a manovalanza e prostituzione, possano approfittare della situazione d’emergenza. Anche a seguito di questa circostanza, il governo di Kathmandu ha aumentato i controlli di polizia e deciso che nessun minore inferiore a 16 anni d’età potrà lasciare il distretto d’origine se non accompagnato da un genitore o da un adulto approvato dai servizi sociali locali. Inoltre è stato decretato il blocco delle adozioni internazionali per i prossimi tre mesi.

Più di ottomila vittime, oltre centomila feriti, 500mila case distrutte, altre 250mila danneggiate, 400 presidi sanitari rasi al suolo, 683 seriamente compromessi. I numeri raccontano solo in parte una tragedia che ha coinvolto otto milioni di persone in Nepal: un terremoto devastante, quello del 25 aprile, seguito da quello del 12 maggio. Un incubo che sembra non finire mai. Lo sciame sismico continua. E la stagione dei monsoni si sta avvicinando velocemente.

Nelle ultime tre notti le tende sono state spazzate via da piogge torrenziali e da un vento 014fortissimo. La gente vive per strada o in alloggi di fortuna anche se ha la casa ancora in piedi. Anche ieri siamo stati svegliati da una scossa a cui è seguito quello che ormai è un rito. Uscire tutti velocemente, guardarci negli occhi per tranquillizzarci, per poi tornare assonnati nelle tende. Il governo cerca di muoversi in uno scenario molto complesso dal punto di vista geografico. Per raggiungere i villaggi in alcuni distretti si devono fare a volte tre giorni di cammino. L’elicottero non sempre può atterrare e la gente rischia di morire di fame se non sarà raggiunta dagli aiuti prima della stagione dei monsoni. Il mondo delle organizzazioni non governative si sta muovendo con numeri importanti.

Si contano oltre 300 organizzazioni e le strade sono piene di jeep con le sigle di network internazionali e locali. Caritas Nepal, in particolare, è diventata il centro di azione del network, ma anche del generoso mondo cattolico che è presente supportando l’azione della Chiesa locale a beneficio dei più poveri. I Camilliani per esempio hanno compiuto oltre 1.300 interventi sanitari nei villaggi più remoti del distretto di Gorkha, coinvolgendo personale sanitario di altre quattro congregazioni religiose. Con lo zaino in spalla si fanno ore di cammino attraversando fiumi e superando frane che continuano a provocarsi ad ogni quotidiana nuova scossa.

Il mondo della solidarietà cattolica coordinato da Caritas Nepal si sta concentrando nei 13 distretti più colpiti dal terremoto e ha già offerto materiali utili per la prima emergenza come tende, coperte, kit igienici. Il direttore di Caritas Nepal, Padre Pius Perumana, ha affermato che l’aiuto «non si fermerà agli interventi di emergenze ma continuerà nel tempo cercando di sostenere la resilienza delle persone vittime del disastro». I volti dei nepalesi sono segnati da oltre 30 giorni di vita precaria fatta di scosse, tende, ricerca di cibo e medicine.

Seppelliti i morti, le case lesionate, nei villaggi come a Kathmandu, sono l’immagine di un popolo colpito da un terremoto terribile ma che ha voglia di ricominciare. Nel centro storico di Kathmandu i lavori per ripulire l’area delle torri e degli antichi templi sono iniziati. Ma anche nei villaggi dispersi delle montagne si sta lavorando per ricostruire con metodi tradizionali usando il bambù e la terra.

Alcuni improvvisano coperture di alluminio, altri usano la plastica, tutti stiamo correndo contro il tempo per cercare di anticipare la stagione dei monsoni.

I bambini torneranno a scuola la prossima settimana cercando di aprire una stagione di speranza e di normalità anche se la maggioranza delle scuole è distrutta o lesionata.Tutti ci chiediamo cosa succederà quando le strade saranno inaccessibili per i prossimi tre mesi e soprattutto come le persone riusciranno a sopravvivere in uno scenario segnato da continui disastri. Le comunità sembrano resistere bene all’impatto. La mutua solidarietà è parte di una società permeata da una religiosità attenta alla sofferenza ed all’aiuto reciproco.
Barati, Khadka, Nawang, Duma, Kanti sono alcuni nomi della lista delle persone che ho in mano, e che chiedono un sostegno concreto. E anche un supporto psicosociale, per poter ricostruire le loro vite.

Un progetto: EXPO 2015 per Emergenza Terremoto in Nepal

bannerMadian Orizzonti è una tra le prime Onlus in Italia ad aver aderito al progetto “DONA CON EXPO”. L’EXPO 2015 diventa così non solo un’occasione per confrontarsi sul tema “Nutrire il Pianeta”, ma anche una grande occasione far fronte all’emergenza del terremoto in Nepal.

Un modo nuovo per sostenere le popolazioni colpite dal terremoto si concretizza anche prendendo parte al grande evento dell’anno. Per ogni biglietto acquistato, senza alcuna maggiorazione, vengono riconosciuti a Madian Orizzonti € 7,00  che verranno destinati alla ricostruzione dei villaggi della zona di Swara raggiunti dai soccorsi della Camillian Task Force.

Comprare i biglietti è semplice: cliccando sull’immagine si viene accompagnati nella procedura di acquisto.

 

5xMILLE

bollo 5xmille

Ricordiamo il codice fiscale per donare il 5xmille a Madian Orizzonti: una piccola scelta per una grande risposta di vita.

Indicando nella dichiarazione dei redditi il codice fiscale 97661540019 aiuterai Madian a dare il coraggio di vivere ai bambini, ai malati e ai disabili che a lei si rivolgono per trovare una risposta al loro domani: a costruire ad Haiti nuovi villaggi per chi, da terremoto del 2010, vive ancora per strada e nelle tendopoli di Port au Prince e a terminare l’Ospedale per la cura delle lesioni cutanee di Jérémie, a sostenere la missione di Tblisi in Georgia dove vengono assistiti molti disabili e da dove partono gli aiuti per i profughi dell’Ossezia, a far crescere 60 bambini orfani e malati di AIDS che vivono nella casa di Kiboko in Kenia, a proteggere e dare un’istruzione a 40 ragazze orfane in India, a dare una casa ai giovani che vivono in Indonesia, nell’isola di Maumere, e a quelli che vivono in uno dei barri più poveri e pericolosi di Cordoba in Argentina .

Porta il sorriso e la speranza a chi ha più bisogno di noi.

 

I PROSSIMI APPUNTAMENTI

Mercoledì 10 giugno 2015 alle ore 21,00 nel Santuario di San Giuseppe in Via Santa copertina libroTeresa 22 Giuseppe Culicchia presenta «Torino è casa nostra» in collaborazione con Editori Laterza e Libreria Il Ponte sulla Dora. Si è pensato di presentare il nuovo libro di Giuseppe Culicchia nella nostra chiesa in quanto in questa guida d’autore alla “città più sorprendente d’Italia”, c’è uno spazio riservato alla Comunità Madian e alla Onlus Madian Orizzonti.

 

 

Martedì 23 Giugno alle ore 11.00 nel Santuario di San Giuseppe si presenterà ilmdn_invito_bs2014 (2)Bilancio Sociale 2014 di Madian Orizzonti. Nell’occasione il teologo Vito Mancuso, docente di Storia delle dottrine teologiche all’università degli studi di Padova, e autore di numerose opere tra le quali ricordiamo “Conversazioni con Carlo Maria Martini”, “Sinai. La montagna sacra raccontata da due testimoni d’eccezione” “Io amo. Piccola filosofia dell’amore” e “Questa vita” uscito nell’aprile del 2015, terrà una lectio magistraslis dal titolo “Serve Dio per vivere bene”.

 

Lunedì 13 Luglio si terrà la quarta edizione della “Cena in cortile” che quest’anno  esce dalla consueta sede del cortile di Madian per occupare tutta la Via San Camillo de Lellis (da Via Pietro Micca a Via Santa Teresa). Stefano Fanti e Steven Lazzarin ci sorprenderanno anche quest’anno con un menu prelibato. Tutto il ricavato verrà destinato alla Comunità Madian.

Dal 24 al 26 settembre la Chiesa San Giuseppe ospiterà alcuni appuntamenti di Torino Spiritualità: giovedì 24 settembre alle ore 18,30 Padre Alberto Maggi celebrerà la Santa Messa e alle ore 21,00 terrà una lectio magistralis dal titolo “I pranzi di Gesù”. Venerdì 25 settembre alle ore 21,00 dialogheranno lo scrittore Paolo Curtaz e il musicista Francesco Lorenzi dei The Sun mentre sabato 26 settembre alle ore 21,00 si terrà il reading di Sergio Claudio Perroni tratto dal libro “Renunzio vobis”.

Madian Orizzonti

Dal 1980 ci occupiamo dell’accoglienza e dell’accompagnamento gratuito di povera gente ammalata, secondo lo spirito del Fondatore: San Camillo De Lellis.