Madian Orizzonti Onlus - Bilancio Sociale 2015
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sempre corteggiamenti che finiscono inevitabilmente con un «sì»,
ed è questo «sì»
che eccita la fantasia e che nella realtà non può
trasformarsi in un rifiuto, fino a portare l’uomo respinto alle estreme
conseguenze. Dato il seguito trasversale di cittadini di tutte le caste
ed età, il cinema ben potrebbe essere strumento valido per educare
al rispetto dei diritti delle donne: sta alla policy di Bollywood
modificare i propri film e mostrare una donna eroina a fianco di un
uomo eroe, e non più una serva alla mercé di un eroe violento.
Radha, madre sfrattata
Le vedove in India
sono 40 milioni, il 10% della popolazione
femminile
del Paese, e la loro vita è ben definita da alcuni con
il termine “sati vivente”, con riferimento all’antica pratica, ora
vietata, della vedova che si immolava sulla pira funeraria del marito,
invece che restare in vita. La maggior parte di esse sono donne in
età avanzata, sofferenti di
depressione per il 93% dei casi
e di varie
patologie geriatriche per l’88%:
vengono messe alla porta sia dai
figli che dimenticano gli anni di cure e devozione di queste donne per
loro, sia dai parenti, che ne vedono solo il costo di sostentamento.
Oltretutto, la pratica delle spose bambine conduce a casi di vedove
giovanissime, addirittura ragazzine di 10 anni che, dopo la morte
del marito, sono costrette a trascorrere il resto dei loro giorni in
isolamento o a guadagnarsi da vivere anche sopportando abusi.
Alla mercé dei padroni degli
ashram
(luoghi di meditazione), le più
carine si danno alla prostituzione, prendendo il nome di
sevadasis.
Purtroppo le vedove non soffrono solamente
l’ostracismo nella
vita privata da parte delle loro famiglie, ma vengono anche
escluse dalla società,
considerate indegne di partecipare alle
cerimonie religiose e agli eventi comunitari, fino a divenire vere e
proprie paria, disprezzate anche solo per la loro presenza, perché
nefasta e portatrice di cattivi presagi. È questa la triste condizione
delle vedove indiane, che alla morte del marito perdono qualsiasi
diritto e dignità e sono costrette a rifugiarsi in ghetti privi anche dei
servizi più elementari, in città sacre come
Vrindavan
e
Varanasi
per chiedere la carità e recitare litanie di preghiera, sopravvivendo
miseramente.