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Capitolo 2: Identità
re a favore della presenza degli stessi a Torino, dove “costantemente
attivamente si adoperano ogni ora a sollievo dei poveri infermi”. Alla
petizione si allegarono le dichiarazioni dei sindaci dei comuni
dov’erano presenti fondazioni camilliane e sul lavoro profuso nella
recente epidemia colerica del 1854. Lo stesso provinciale inviava
anche un ulteriore ricorso al Senato per denunciare la illiberalità e
incostituzionalità della legge, definitivamente approvata il 22
maggio 1855. Tra gli istituti religiosi colpiti dal decreto applicativo
della legge emanato il 29 maggio 1855 non figurava l’ordine
camilliano, immune dalla norma in quanto ne veniva riconosciuto lo
scopo assistenziale e caritativo. La questione della soppressione era
tuttavia soltanto rinviata e si sarebbe riproposta a conclusione del
processo di unificazione del Paese. Come noto infatti, la legge del 7
luglio 1866 privava gli ordini religiosi del riconoscimento dello Stato,
devolvendo a questo i beni degli enti soppressi e fissando un assegno
annuo per i religiosi e le religiose. La legge colpiva tutti gli istituti,
compresi quelli che erano sfuggiti alla precedente normativa sardo
piemontese del 1855. La speranza dei ministri degli infermi di
venire nuovamente risparmiati fu presto vanificata. La soppressione
provocò la dispersione dei religiosi il cui principale effetto fu
l’abbandono della vita comune. A ridosso dell’approvazione della
legge, il provinciale dell’epoca, padre Cova, elaborò per la comunità
torinese un nuovo progetto nel tentativo di tenere uniti tutti religiosi
ed evitarne la dispersione così come anche la Santa Sede emanò
disposizioni per evitarne il più possibile la dispersione ma fu tutto
inutile. Così insieme alle altre sei case della provincia piemontese
venne anche soppressa la casa di San Giuseppe a Torino. Il superiore
padre Luigi Gallina fu nominato amministratore della Chiesa,
coadiuvato da padre Montemerlo. Con le vicende legate alla
soppressione, la casa torinese pagava dunque un prezzo decisamente
elevato, che avrebbe portato l’istituto verso una nuova fase di
revisione e rinnovamento. Se si voleva intravedere un aspetto
almeno in parte positivo nella legge del 1866, questa consisteva nel
contributo alla purificazione dell’ordine, aiutando – come scrisse il
padre Sannazzaro – a riordinare e ripulire una situazione interna
contaminata da diffuse imperfezioni. La critica situazione della