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Madian Orizzonti Onlus - Bilancio Sociale 2014
L’ordine dei religiosi camilliani arriva a Torino nel 1678. Entrati nel convento
che era stato delle
Madri del SS.mo Crocifisso
“in puoco tempo vi fu un
gran concorso di persone massime alle prediche… restando essa (Chiesa)
angusta si determinarono demolire la muraglia quale divideva il Coro dalla
Chiesa, et alongare essa per un trabucco nella Corte e formare due Capele
grandi lateralmente il che in breve fu fatto (e fu) anche fatta una piccola ma
bella Cupola per illuminare l’altare maggiore e Capelle qual Cupola fu fatta
con l’elemosina del fu signor Conte Amoretti”.
La trasformazione è attribuita a
Carlo Emanuele Lanfranchi
ma le
soppressioni ottocentesche han disperso i documenti che avrebbero potuto
provarne la paternità. L’Olivero la data dubitavamente “a poco dopo il
1683” dicendola priva di facciata salvo “la bella porta d’ingresso di marmo
di Frabosa”. L’altare Maggiore fu eretto tra il 1693 e il 1696 dal conte
e generale delle Finanze di Carlo Emanuele II, Giovan Battista Trucchi di
Levaldigi (lo stesso che fece erigere l’omonimo palazzo, sede oggi della BNL
di Via XX Settembre angolo Via Alfieri, noto per essere il depositario di due
dei più intriganti misteri di Torino
1
) mentre quello di San Camillo fu costruito
per volontà testamentaria di Paolo Vittorio Buschetti e ultimato nel 1743.
Il convento fu ricostruito nel 1780 dall’architetto
Ignazio Antonio Giulio
diciott’anni prima che la soppressione dell’ordine ne allontanasse gli
occupanti. In loro vece fu chiamata la Pia società di San Luigi Gonzaga
amministratrice dell’ospedale omonimo che nel 1837 la restituì ai proprietari
(Gaudenzio Claretta ne I Marmi scritti di Torino e suburbio edito nel 1899
dice che “in tale anno si trattò di darla al nuovo istituto di carità fondato
1.
Corre l’anno 1790. Nel palazzo per un breve periodo appartenuto a Marianna Carolina di Savoia si
tiene una sontuosa festa carnevalesca: durante il numero delle danzatrici, che si dimenavano al ritmo
dell’orchestra, tale Emma Cochet (che secondo alcuni si sarebbe invece chiamata Vera Hertz) cade a
terra pugnalata mortalmente. Un delitto quanto mai misterioso: non si trovò mai né l’arma, né tanto
meno il colpevole.
Cambio di scena: siamo durante l’occupazione francese: 1817. Il maggiore Melchiorre Du Perril, che
stava per mettersi in viaggio con documenti top secret, è nel palazzo, sta per partire. Nel cortile la
carrozza lo aspetta. Non arriverà mai e di lui si persero le tracce. Vent’anni dopo, durante dei lavori,
un paio di muratori rinvengono il suo scheletro murato e sepolto in piedi: che sia proprio il maggiore
lo si desume da pochi brandelli di stoffa di un’uniforme, anzi della sua uniforme, rimasti attaccati alle
povere spoglie.
La Chiesa di
San Giuseppe